Per dare continuità alla fornitura di prodotti e servizi nel periodo di “sospensione” sociale ed economica imposto dal Covid-19, molte imprese e grandi studi professionali hanno implementato lo smart working, stravolgendo il work-life balance dei lavoratori. Milioni di persone si sono perciò trovate nella necessità di definire un nuovo equilibrio tra gli impegni professionali e l’ambito privato e domestico. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nelle realtà di grandi dimensioni ha lavorato da remoto il 54% dei dipendenti (circa 2,11 milioni di persone) e il 58% del personale della PA (1,85 milioni). 

Per supportare questa “nuova” forza lavoro, i percorsi di digital transformation hanno registrato una forte accelerazione, come dimostrano i dati relativi all’incremento dell’uso di risorse digitali a seguito della pandemia. 

 

(Fonte: Statista) 

 

Il luogo di lavoro si dematerializza 

L’aspetto fondamentale che caratterizza lo smart working, e lo differenzia dal telelavoro, è che svincola i dipendenti dal legame con un luogo fisico e orari prestabiliti, per permettergli di responsabilizzarsi rispetto ai propri compiti e di poter amministrare gli impegni in autonomia. Questo significa che vien meno il concetto di postazione di lavoro inteso come luogo fisico dove quotidianamente si svolge la propria attività: si può lavorare dappertutto e quando lo si ritiene opportuno 

Più del luogo sono importanti gli strumenti che si usano, sia per la produttività personale sia per poter comunicare con gli altri, organizzare riunioni e interagire come se si fosse in presenza. Tra tutti i nuovi servizi per lo smart working, i più emblematici sono sicuramente i sistemi di centralino telefonico, perché seguono la persona non più la postazione fissa e determinano, con le loro potenzialità, vere e proprie rivoluzioni in cui, oltre alle modalità di interazione, evolvono anche gli spazi di lavoro. 

 

Il grafico rappresenta le modalità secondo le quali saranno ripensati gli spazi di lavoro al termine dell’emergenza socio-sanitaria legata alla pandemia. 

 

 

(Fonte. Osservatorio Smart Working – Politecnico di Milano) 

 

Un nuovo approccio manageriale 

Dal punto di vista manageriale, lo smart working comporta che la gestione delle risorse non avvenga più in base alla tradizionale definizione e al controllo degli incarichi lavorativi, ma secondo un approccio basato sui risultati e con obiettivi misurabili. Ne consegue che anche la produttività debba essere valutata secondo un approccio differente da quelli usati con il lavoro in presenza. Un approccio che non possa seguire modelli standard, ma che sia invece funzione del tipo di attività svolta. In questo senso, si potrebbero prevedere delle valutazioni della capacità di rispettare le scadenze, della qualità del lavoro eseguito, del tempo impiegato per redigere dei report, della capacità di gestire delle urgenze e così via.  

Siccome i dipendenti non si vedono più tutti i giorni è importante rinforzare i rapporti e coltivare la fiducia ascoltandoli anche a distanza. Non bisogna mai farli sentire trascurati o rischiare di perdere il contatto con loro. A tal fine, potrebbe essere utile pianificare dei momenti di “incontro virtuale”: potrebbero essere delle videocall per la verifica delle attività svolte o anche semplicemente per sapere se tutto procede in modo regolare, se hanno bisogno di aiuto o se la dotazione tecnologica è adeguata per i compiti assegnati. Si dovrebbe perseguire un duplice obiettivo: da una parte far capire a ogni persona che è importante e che si è sempre presenti anche se si è distanti, dall’altra cercare di far emergere e rafforzare le sue potenzialità al fine di permettergli di raggiungere i traguardi prefissati, sia personali sia professionali. 

 

Smart working e work-life balance: attenzione all’effetto burnout 

Il fatto di poter lavorare su obiettivi con tempi e modalità regolate sulle esigenze personali può far diventare lo smart working un elemento che semplifica la gestione della vita privata di ogni impiegato. Ma questo è vero se alla definizione di smart working non viene meno la componente di work-life balance. 

Infatti, è cronaca recente l’emergere di un vero e proprio effetto “burnout” a seguito del protrarsi delle modalità di lavoro agile, che si sono dilatate per un arco di tempo troppo lungo, venendo meno, così, alla loro premessa iniziale: quella dell’essere, appunto, facilitatrici di un ottimo compromesso tra lavoro e vita personale, a supporto, dunque, non solo delle imprese, ma anche dei manager e dei lavoratori. 

Fanno riflettere i principali effetti dello stress da lavoro e burnout nelle organizzazioni: 

 

(Fonte: Igeam) 

 

 

L’importanza degli obiettivi 

È fondamentale che chi lavora da remoto sappia concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi. Un manager non può certo imporre a un dipendente il modo con cui gestire il proprio tempo. Tuttavia, siccome la scarsa produttività di chi opera in smart working si riflette su tutta l’azienda è importante che i responsabili dell’organizzazione agiscano in modo da avere sempre la situazione sotto controllo e facciano il possibile per evitare che il lavoratore raggiunga il burnout, ma mantenga invece un adeguato work-life balance. 

Da una parte abbiamo quindi i manager, che, in modo collaborativo e inclusivo, sono chiamati a coinvolgere i propri dipendenti nella definizione degli obiettivi, dall’altra i lavoratori, che si devono rendere responsabili e autonomi rispetto al proprio cammino di crescita verso i traguardi attesi. 

Caratteristiche fondanti questo modo di procedere sono la fiducia e la trasparenza, messe in campo sia dal manager sia dal collaboratore nelle reciproche relazioni e interazioni. 

Avendo a diposizione tutti i tasselli del mosaico, sta ovviamente poi al lavoratore metterli assieme per ottenere il risultato desiderato ovvero un equilibrio favorevole tra smart working e work-life balance. Ma il manager avrà fatto il possibile affinché ciò avvenga. 

 

Il nuovo ruolo del welfare aziendale 

Per quanto riguarda le azioni condivise, promosse dalle imprese a favore dei propri dipendenti, una di queste coinvolge il welfare aziendale. Si sta sempre più ripensando a ricondurre questo insieme di benefit nell’ottica dello smart working, rivedendo le passate opzioni quali auto aziendali e buoni pasto e sostituendole con alternative più attuali come il bonus baby-sitter, che considera le rinnovate necessità dei lavoratori e delle famiglie contemporanee. 

In ultima analisi, si è interiorizzato l’assunto per il quale il mantenimento di un corretto work-life balance in un contesto di smart working richieda un contatto continuativo tra il manager il dipendente e che, per la soddisfazione di entrambi, fondamentale sarà il rispetto delle esigenze di ciascuno. All’atto pratico, dunque, questa urgenza dovrà potersi concretizzare nell’offerta di strumenti dati in dotazione dalle imprese ai propri lavoratori in smart working con caratteristiche tali da facilitare la condivisione a distanza. I manager non devono infatti scordare che spesso chi si è trovato a iniziare in modo repentino a lavorare in smart working lo ha fatto con dispositivi propri, con tutti gli svantaggi che questo può creare al lavoratore ma anche all’azienda, a partire dalla limitata dotazione software o hardware per arrivare alle questioni di sicurezza IT. 

In ogni caso, come dimostrano i trend, lo smart working risulta una scelta positiva e vincente, qualora si mantenga l’adeguato work-life balance per manager e dipendenti. 

 

Il grafico mette a confronto gli smart worker con i lavoratori tradizionali e mostra quali sono gli ambiti nei quali i primi traggono maggiori soddisfazioni rispetto ai secondi. 

 

(Fonte: Osservatorio Smart Working – Politecnico di Milano) 

 

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Topic: Smart Working aziendale